Il Tango Argentino in Italia (1920-1945)

Ho cercato di saperne di più sulla musica leggera italiana negli anni 20, 30 e 40 del secolo scorso per due motivi: (1) trovo molto divertente utilizzare come cortine, nelle serate di Tango, brani “swing” come quelli del famoso “Trio Lescano” o del Maestro Pippo Barzizza; (2) mi sono chiesto se anche in Italia si fosse sentita l’influenza del Tango Argentino in quello che è stato sicuramente il suo periodo di massima espansione. Ho scoperto subito che in realtà quel periodo temporale riveste comunque un’importanza particolare nella storia della musica in quanto rappresenta il suo inizio come fenomeno popolare e di massa. Solo negli anni 20 e 30 infatti tre invenzioni di fine ‘800 cominciano a entrare nella vita della gente cambiandone profondamente le abitudini musicali: i dischi a piastra circolare, la radio e, pochi anni dopo, il cinema sonoro.
Fino ad allora la musica poteva essere ascoltata solo nei teatri, nei tabarin e nei “café chantant” e la sua fruizione era quindi limitata ad un pubblico benestante (le élite alto-borghesi) e adulto; la radio soprattutto permette alla canzone di rivolgersi a un pubblico molto più vasto, più giovane e piccolo-borghese; questi nuovi mezzi di comunicazione consentono inoltre l’ascolto di canzoni straniere con stili musicali completamente diversi da quelli tradizionali mettendo in crisi il predominio incontrastato della canzone melodica italiana (in prevalenza napoletana).

Radio_Balilla

 

La prima emittente italiana: l’Unione Radiofonica Italiana esordì il 6 ottobre 1924. Le radio restarono molto care finché il regime fascista non ne capì l’enorme potenzialità propagandistica e immise sul mercato modelli a prezzo imposto (3-400 lire). Ciano, ministro delle Poste del primo governo Mussolini, fece anche togliere le limitazioni dovute al precedente impiego militare del mezzo. Gli abbonati erano oltre 300.000 nel 1932, e arrivarono a toccare il milione e mezzo nel 1940.

 

Attraverso i dischi arrivano dall’America i primi brani jazz o di stili simili o derivati come il charleston, il boogie-woogie, il fox-trot e lo swing; questi generi peraltro vengono duramente criticati dagli esperti musicali vicini al regime fascista che li definiscono “anti-musica negra”; la loro diffusione non viene però mai ostacolata in modo deciso, anche per la loro incontestabile popolarità , e il regime si limita a salvare le apparenze chiedendo che i brani siano comunque suonati da orchestre italiane e che i testi e i titoli vengano tradotti. Il regime gradisce comunque il carattere allegro e spensierato dei brani swing, spesso dal contenuto banale o insignificante e che danno l’idea di un’Italia in cui tutto va bene e la gente non ha problemi. Lo stesso Mussolini risulterà padre del più grande pianista jazz italiano; ma ufficialmente il regime incoraggia la diffusione di canzoni di stile molto più tradizionale, in cui prevale il sentimentalismo melodrammatico, tipico della canzone italo-napoletana di fine 800 e primo 900 e che esaltano i buoni sentimenti e la laboriosità degli italiani con brani strappalacrime come “Mamma” di Bixio-Cherubini e “Balocchi e Profumi”, portata al successo da Luciano Tajoli. Gli interpreti provengono in genere dalla musica lirica (i più famosi sono sicuramente il tenore Carlo Buti e Beniamino Gigli) e alcuni appaiono in prima linea anche come esecutori di canzoni di propaganda politica, pratica meno diffusa tra i cantanti del genere swing.

grammofono

Il disco fonografico a piastra circolare viene inventato da Emile Berliner nel 1888 e soppianta già agli inizi del 1900 il cilindro fonografico inventato da T. Edison. Dal 1919 un procedimento di incisione elettrico sostituisce quello meccanico e ne migliora decisamente la qualità. Nel 1925 la velocità viene fissata a 78.26 giri al minuto. Dalla metà degli anni venti viene utilizzato anche per accompagnare i film e rimane lo standard di riproduzione audio fino alla fine degli anni 40, quando i dischi in resina vengono soppiantati da quelli in vinile a microsolco, basati sul medesimo principio tecnico ma di qualità e durata assai maggiori.

Di Tango si comincia a parlare in Italia nel 1913, a seguito del suo arrivo a Parigi, ma l’enorme attenzione del pubblico è rivolta esclusivamente al ballo e provoca accesissime polemiche culminate nella “presunta” esibizione del 1914 davanti al Papa Pio X. Dal punto di vista musicale si possono ascoltare brani di tango italiani cantati da interpreti del filone melodico (Carlo Buti è ancora il principale); anche se si parla di un repertorio importante, sia quantitativamente che qualitativamente, e anche se l’Argentina resta il punto di riferimento, si tratta in realtà di brani legati alla tradizione musicale italiana e che all’atto pratico non sembrano risentire molto dell’influenza del Tango Argentino; sono infatti molto diversi come ritmo, orchestrazione e struttura: il cantante, che in Argentina è solo un “estribillista”, qui la fa da padrone, gli strumenti sono quelli tipici di un orchestra italiana e la fisarmonica sostituisce il bandoneon. Ai patiti del tango appare oggi strano che alcuni brani italiani siano stati suonati dalle maggiori orchestre argentine (si pensi a “Chitarra Romana”, “Violino Tzigano”, “Il piccolo naviglio”, o al pasodoble “Bombolo” inciso da Rodriguez e cantato da Roberto “Chato” Flores) mentre appaiono pochissimi i brani argentini suonati da orchestre italiane .

Occorre però sottolineare come il rapporto tra Italia e Argentina a quel tempo fosse piuttosto labile; nonostante il Paese risultasse vicino agli italiani per motivi legati all’emigrazione, l’Argentina era vista in Italia come un paese esotico, di cui si sapeva pochissimo, sicuramente considerato molto lontano anche dalla nostra cultura e, probabilmente, molto inferiore dal punto di vista musicale. Anche le “tourné” in Italia delle orchestre Argentine furono rarissime e questo contribuisce a spiegare come il Tango Argentino non sia stato visto dai sostenitori del regime come una possibile alternativa più “autarchica” alla musica americana, nonostante fosse chiaramente derivato dalla canzone napoletana e fosse suonato prevalentemente da “figli di italiani”, come sottolineava sempre Felix Picherna. Sta di fatto che in Italia i brani di tango non appaiono a livello di quelli argentini e non sembrano reggere il confronto, anche come interesse di pubblico, con le divertenti canzoni swing.

 

Articolo redatto da: Daniele Cecchi

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2 Comments

  • Charlita Roma 20 Maggio 2016 at 7:39

    Molto interessante. .. avevo trovato un Tango Romano cantato da Ettore Petrolini accompagnato da un piano solo del compositore. Forse esempio isolato ma da non tralasciare

    Grazie
    Carla

    • Daniele Cecchi 20 Maggio 2016 at 14:59

      In base alla ricerca che ho condotto, in Italia dei tanghi argentini c’è traccia solo in alcuni brani incisi dall’orchestra Rio Rita del maestro Ortuso (tra cui “Poema” e “Don Juan”) e in alcune versioni dei pezzi più famosi (“La Cumparsita”, “A Media Luz” o “Adios Muchachos”).

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